lunedì 4 novembre 2013

IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE di J.R. MOEHRINGER

Chi frequenta questo piccolo post sa che non parlo quasi mai di libri, parlo di lettura ma non di libri.
Perchè i libri mi piace leggerli, tenerli intimamente per me. Non pretendo che piacciano anche agli altri, non mi interessa. Anzi forse mi spaventa il fatto che non possano piacere allo stesso modo a chi mi piace come persona: mi sentirei quasi incompresa, creerebbe distanza là dove non ne voglio.
E poi, soprattutto quando mi piacciono molto, non riesco a tradurre mai con le mie parole piccole la grandezza delle emozioni che alcuni libri mi fanno provare.
E' un po' come quando bevo un buon vino, uno di quelli che ti riempiono la bocca al primo sorso e ti fanno venire voglia di rimanere lì a pensare, perchè sai già che il secondo non sarà la stessa cosa. Ecco, io bevo uno di quei vini e poi dico "mi piace", di più non riesco.

Ma per questo libro in particolare voglio fare uno sforzo. E' arrivato troppo a fondo nel mio animo per tanti motivi, non ultimo il fatto che l'autore è bello, bravo, simpatico e intelligente! Momento di debolezza, scusate.

Quasi tutti i libri che leggo hanno una storia, una MIA storia. Spesso queste storie iniziano in libreria, con una quarta di copertina interessante o con un titolo accattivante. Da questi piccoli spunti nascono grandi affinità elettive e diventa difficile uscire dalla libreria senza aprire il portafoglio.
In questo caso la storia è più articolata e nasce da un'evento del Festivaletteratura 2013. Avevo deciso quest'anno che avrei seguito il percorso delle biografie: tutti eventi che parlassero di come si racconta un percorso lungo una vita. Ed è così che sono arrivata all'evento in cui Beppe Severgnini chiaccherava con l'autore della biografia di Andrè Agassi, uno di quei libri arrivati in casa dalla copertina, che poi mi aveva catturato per la bellezza drammatica della storia.
Ebbene, fino alla pubblicazione del programma del Festival non sapevo chi fosse il vero autore del libro e solo grazie al breve profilo ho scoperto che tra le altre cose era un premio Pulitzer.
Curiosity killed the "Cats".
Da lì, comprare il biglietto è stato un attimo (un vero colpo di fortuna, come sempre per gli ospiti illustri del Festival) e sono arrivata a far la coda fuori dal cortile di Palazzo Ducale senza altra informazione, perchè mi piace arrivare un po' ignorante ed uscire da questi incontri sentendomi un po' più ricca dentro.
La chiacchierata tra i due (superato lo sconcerto provato scoprendo che oltre a Beppe c'era il "fratello sconosciuto" di Rob Lowe... non sono abituata agli scrittori affascinanti!) è stata arricchita da un bravissimo Valerio Mastrandrea che leggeva per noi. Tra le varie cose da lui lette c'erano appunto alcune pagine di questo libro, di cui poi Severgnini e l'autore hanno svelato altri segreti.
E' un autobiografia, ma non solo. E' la storia di una certa America, ma non solo.
Alla fine di quelle 484 pagine per me è soprattutto la storia di una madre single e di un figlio cresciuto da sola, con mille pensieri, con tanta forza, con tanta speranza, tra errori e rinascite. E leggere di questo figlio che crescendo capisce, capisce tutto, gli errori, le bugie a fin di bene, l'essere sempre lì quando hai bisogno mi ha commosso fino alle lacrime, pagina dopo pagina.
Già durante l'evento, il tema era stato anticipato e con poche parole avevo iniziato a piangere in silenzio. Ed è questo il motivo principale per cui ho dovuto comprare il libro prima di andarmene da lì.
Ma quel libro è tante cose, questa è solo la parte che io ho vissuto più da vicino.
E' scritto benissimo, inutile dirlo, è una galleria di ritratti molto particolari, mille personaggi uno diverso dall'altro, ognuno con una storia mai lasciata così, sospesa tra le pagine.
Arrivata a nemmeno un terzo del libro ho avuto bisogno di una matita a farmi compagnia, a sottolineare le frasi che mi piacevano di più: il commento di quel personaggio, la battuta volgare che vorrei avere il coraggio di dire ogni tanto, una situazione che sentivo vicina resa con estrema poesia, una frase che vorrei ricordare per quando avrò bisogno di fare coraggio a mio figlio o di spiegargli i fatti della vita.
C'è zio Charlie, c'è Don, c'è McGraw, Jimbo, c'è persino Frank Sinatra.
Si piange, si ride, si diventa un po' amici di tutti. Come si fa quando si beve in compagnia.
Ma guarda un po': è la storia di un bar. Che fosse proprio questo l'obiettivo dell'autore?
Decidetelo voi, io vi aspetto al bancone per un Martini alla fine.

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