martedì 20 dicembre 2016

BIANCA DEL MIO (NOSTRO) CUOR...

Un nuovo membro della famiglia è arrivato a casa nostra lo scorso 24 novembre.
Per dirla alla Snoopy: "era una notte buia e tempestosa".
TopoFede mi raggiunse in ufficio con la Tata e partimmo insieme alla volta di Segrate, dove Bianca ci aspettava insieme ai suoi fratellini (Smilzetta, Grigio e Occhiali), la sua mamma Stella, due adorabili Piccoli umani e due Umani grandi che si sono presi cura di loro dalla nascita (dei Piccoli Umani e dei gattini).
Era una bella famiglia felice, sia io che TopoFede ci sentivamo in colpa a privarla di tanto affetto e compagnia. Con l'aggravante che era la prima della cucciolata che partiva.
Avevamo avuto modo di trascorrere con lei e la sua bella famiglia qualche ora una decina di giorni prima per vedere se eravamo compatibili, se ci si annusava con reciproco interesse, se piacevamo a chi si prendeva cura di lei.
TopoFede racconta "è il primo animale piccolo che ho preso in braccio".
In effetti... anche se più che prenderla in braccio di sua iniziativa, se l'è trovata tra le braccia come un padre alla prima esperienza, incerto e spaventato (e credo si ricorderà di questa cosa fino a quando non stringerà il suo primo pargolo tra le braccia).
Io invece da gattara di vecchia data - anche se da tempo non mi ritrovavo con un cucciolo tutto mio - facevo carezze senza paura, abbracciavo e sbaciucchiavo, seduta per terra in questo tripudio di piccoli esseri miagolanti, senza dimenticare le carezze dovute alla Regina della casa, mamma Stella.
Fu estremamente difficile tornare a casa solo noi due quel giorno, ma Bianca era ancora troppo piccola per seguirci. Così, similarmente a tante altre esperienze adottive, ci ritrovammo noi soli a preparare il nido, senza sapere ancora se sarebbe stata lei o uno dei suoi fratellini.
Poi la conferma: eravamo noi i prescelti per lei (e non viceversa!) così dopo pochi giorni la facemmo entrare nella nostra casa con un misto di paura e di gioia, noi che ne parlavamo ormai da qualche anno ma ancora non eravamo riusciti nell'intento. Ora eravamo finalmente in tre!
Bianca è una gatta di razza, anzi di 2 razze: 25% persiana e 75% norvegese delle foreste.
Dalla mamma ha ereditato sicuramente l'educazione e l'attitudine alla coccola, oltre alla bellezza che la contraddistingue.
Si chiama Bianca ma in realtà è bianca e grigia, questo perchè nei suoi fratellini si notava molto di più la preponderanza del pelo scuro di papà Marietto.
Ama dormire sul divano, curiosare ovunque, annusare chiunque, giocare con la carta e il gomitolo, fare gli agguati dietro l'angolo, pasticciare con l'acqua, nutrirsi con le crocchette e il patè di riso e pollo.
Coccolona, quando è il momento giusto accetta carezze da ogni ospite, anche se mostra le sue preferenze quando si tratta di dormire (io e le mie morbide rotondità) e giocare (TopoFede e la sua energia).
Da quattro settimane ormai la nostra casa è un tripudio di fusa e miauuuuuu e ne siamo estremamente felici.
I primi risultati tangibili: io dormo di più, Fede guarda molto meno la televisione.
Forse è esagerato parlare di lei come la terza della famiglia, ma la verità è che è un essere vivente con le proprie esigenze e il proprio carattere. Non ha le stesse nostre capacità di logica e pensiero, ma io sono convinta che sappia amare e ricambiare l'amore che le viene dato. Cat-mode naturalmente. Che significa anche pulire noi quando lo fa con sè stessa, come faceva la sua mamma con lei o lei con i fratellini.
E poi ci fa tanto ridere. Anche quando dovrei sgridarla.
E non ha nemmeno smontato l'albero di Natale (anche se ci prova sempre e comunque).

Quindi benvenuta tra noi Bianca! E permettimi questo piccolo vezzo di attribuirti il mio cognome, visto che con TopoFede non ho potuto farlo.

#biancagatti (instagram)

venerdì 16 settembre 2016

DAVVERO IL PROBLEMA SONO I COMPITI ESTIVI?

"mangia le verdure"
"lavati i denti"
"metti a posto le tue cose"
"fai i compiti"

Ancora una volta prendo spunto da un altro commento (che trovate qui) e dico la mia.
La vicenda è rimbalzata ovunque in questi giorni, grazie ai social e ai giornali(sti), che invece di andare a caccia di notizie nel mondo, la prendono corta e seguono i like.
Un padre il primo giorno di scuola scrive alle maestre di suo figlio per dire loro che il bimbo non ha fatto i compiti perchè lo ha deciso lui come adulto. Adduce ragioni quali esperienze più "meritevoli", seguire i propri interessi, fare cose più interessanti.
Probabilmente sono una mamma fortunata, ma mio figlio - come tutti gli anni - è riuscito a fare i compiti e contemporaneamente tante belle cose estive: vacanze, piscina, nell'orto con i nonni, leggere libri e fumetti a suo piacimento, stare con gli amici. Il tutto facendo non più di mezz'ora di compiti al giorno e finendo il tutto (in autogestione con la qualità che lui ha ritenuto sufficiente) a fine luglio.
Certo, ho dovuto richiamarlo quando non li faceva, fare pressione perchè mantenesse una certa regolarità (ha 10 anni ed è un bambino normale, grazie a dio) ma questo è il mio ruolo di genitore.
Il punto non è "i compiti sono giusti o sbagliati" ma lui ha ricevuto un incarico (a misura di bambino) e anche se non gli piaceva lo ha portato a termine. Per rispetto nei confronti dell'insegnante, degli altri bambini e genitori.
Questo gli ho insegnato chiedendogli di fare i compiti.
Per me questa è una lezione di vita: non far fare i compiti perchè non sono interessanti mi suona come il non fargli mangiare la verdura perchè non gli piace o lasciare che puzzi come un caprone perchè non vuole fare la doccia.
Nel percorso di vita di una persona ci sono cose piacevoli e spiacevoli, quelle spiacevoli a volte sono da fare a prescindere, per il solo fatto che viviamo in comunità.
Ho letto di "ordini", di "scuola non adeguata", qualcuno che ha scomodato persino il concetto di "disobbedienza civile".
Ma queste sono opinioni che fanno parte di una relazione di dialogo tra adulti. Come genitore non sono d'accordo con l'insegnante? Prendo un appuntamento e manifesto a lei le mie intenzioni direttamente, prima del gesto, non lo faccio tramite una lettera manifestatamente pubblicata per ottenere notorietà e non per iniziare un dialogo costruttivo.
Forse il padre in questione ha una professione che lo espone meno alle decisioni altrui rispetto a me, ma se penso a mio figlio inserito in un tessuto professionale normale in futuro, il fatto che ci possa essere qualcuno che gli darà compiti rispetto ai quali potrà non essere d'accordo mi sembra cosa normale.
E allora perchè non insegnare loro ad affrontare tutto questo da piccoli?
Certo, poi ci sono anche le cose per cui alzare la testa, la voce, mettersi di traverso, fare "casino" perchè non lo troviamo giusto.
Ma ogni cosa va affrontata correttamente e con i propri strumenti, consci delle relative conseguenze.
A 14 anni deciderà di non fare i compiti e affronterà la cosa da solo con il proprio professore? Avrà una maturità diversa, sarà una decisione sua e accetterà la risposta dell'insegnante in questione di conseguenza.
Ma a casa troverà una madre, non troverà comprensione o compassione. Una madre che gli dirà cosa ne pensa e cosa avrebbe fatto al suo posto, cosa è dipendente dalle sue decisioni a prescindere da giusto o sbagliato. Quale è il suo ruolo come alunno e quale il ruolo dell'insegnante. E la mia volontà (già espressa più volte anche alle elementari) di rispettare questi ruoli, fino al punto di sentirmi rinfacciare "per te ha sempre ragione la maestra".
E dare fondo ogni volta alla mia pazienza, rispiegando che la maestra ha le sue ragioni che a volte nè io nè lui possiamo capire e se non siamo d'accordo possiamo chiedere spiegazioni. E anche se non ha ragione, in quella veste è l'adulto di riferimento e per questo va rispettato.
Poi ci sono i miei pensieri, i miei conflitti, i miei confronti con loro che a casa non vengono riportati. Ma questa è una cosa tra me e loro: io mi faccio portavoce dei suoi eventuali disagi, non uso lui contro le maestre e non uso le maestre per protestare contro la scuola!
Io decido - coscientemente - di insegnare a mio figlio la responsabilità e il rispetto.
Per questo se la maestra chiede di fare i compiti, lui farà i compiti.
E nel mio piccolo aspetto con ansia la prossima estate quando alla fine della quinta i compiti non li dovrà fare (quindi si, sono contraria ai compiti estivi... così come vorrei che la Nutella fosse sana, che le patatine fritte contassero come verdure e che la casa si riordinasse quando schiocco le dita!).

venerdì 8 aprile 2016

IO SONO STATA UNA YOUNG ADULT, NON LO DIMENTICO E NON ME NE VERGOGNO

In risposta a questo articolo
http://www.qualcunoconcuicorrere.org/wordpress/complessita/

Cara Sarah,
sono mamma e sono stata adolescente.
Probabilmente, a differenza del Sig. Turrini, non me lo sono dimenticata.
Quello che mi ricordo dei miei 16 anni era l'incomprensione che percepivo nel mondo degli adulti e l'invidia verso gli "infanti" che crescevano senza problemi.
Rischio la banalità dicendo che è un'età in cui non sei appunto nè carne nè pesce ma tutti cercano di darti un'etichetta, di disegnarti il contorno da non strabordare, là dove il giovane adulto cerca solo di essere capito e aiutato a capire. E cerca limiti da superare perchè è su questo che si fonda il processo di crescita.
Di pari passo le mie scelte letterarie di allora: 30 anni fa non c'era letteratura specifica, sono passata da Gianni Rodari a Ignazio Silone con la mia immaturità e incoscienza.
Quello che ricordo però è che le mie scelte di lettura erano condivise da un adulto di riferimento: la prof di italiano, i miei genitori, la sorella più grande. Loro consigliavano, mi seguivano e mi aiutavano a capire le cose che leggevo e che a volte erano più grandi di me.
Cercavo altre risposte, ma non le trovavo perchè - appunto - non c'erano molti libri dedicati agli adolescenti allora.
Ma per fortuna le cose sono cambiate.
Io ho un figlio quasi pre-adolescente, un po' precoce nelle sue letture perchè estremamente sollecitato.
Legge un po' di tutto. Non gli impongo i classici perchè non hanno i ritmi della vita moderna. Seguo le sue curiosità.
Anni fa gli ho spiegato perchè non mi piaceva Geronimo Stilton per lui, perchè non ero disposta a spendere soldi per questo tipo di libri. Ma non gliel'ho proibito o bollato come illeggibile: lui sapeva che in biblioteca poteva prenderli o che poteva farseli regalare, ma che io non glieli avrei comprati. Ne ho comprati altri ed era lui il primo a dire alla fine "questo è più bello".
Oggi cerco di spiegargli allo stesso modo perchè "Vita da schiappa" mi fa lo stesso effetto e sullo stesso tema - visto che le medie sono vicine -  gli propongo letture moderne ma diverse (ad esempio l'ultimo libro di Annalisa Strada "#lemedie... ok panico!"), divertenti, adatte al suo linguaggio ma non così superficiali o commerciali.
Ma insomma, non si può essere sempre impegnati: sono la prima a confessare che aspetto con ansia l'ultima uscita di Ken Follet o della Kinsella per spegnere il cervello e abbandonarmi a sensazioni semplici!
Certo, per dare risposte di questo tipo bisogna investire del tempo, leggere quello che legge lui. Qualche mese fa mi ha chiesto di leggere "Eragon". Gli ho detto di no, non conoscevo il libro e non sapevo se fosse adatto a lui. Poi l'ho letto e gli ho spiegato che non mi sembra all'altezza di Percy Jackson. Eh già, quando ha iniziato a leggere Percy Jackson giravo con il dizionario dei miti della nipote liceale per rispondere alle sue domande...
Il fatto è che mi diverto a leggere i suoi libri. A stare al suo passo.
La letteratura per ragazzi è piena di letture per cui vale la pena!
Ci sono anche delle complicazioni in questo moderno mondo editoriale: il valore del lettore è dettato dalla battuta di cassa, il concetto di best seller è uber alles. Questo perchè una casa editrice è un'impresa privata e per continuare a vivere deve riuscire a vendere. E allora sì: diventano libri di successo anche cose che hanno poco valore creativo. Ma mi viene da pensare che le persone che comprano il best seller comunque sono lettori e potevano guardare la tv invece di leggere. E allora ben vengano anche i best seller.
Cara Sarah, anche per noi adulti questo mondo è tutto un po' nuovo e sconcertante. Così come noi da adolescenti eravamo sconcertanti per i nostri genitori, e loro lo sono stati prima di noi. Il mondo cambia, le persone con lui e il salto generazionale sempre più ampio non aiuta.
Ci vuole voglia di confrontarsi, che vuol dire esprimere le proprie opinioni e allo stesso tempo ascoltare e cercare di capire con la stessa forza. Lo devono fare gli adulti, lo devono fare gli adolescenti. A voi ragazzi servirebbe per evitare i nostri errori, a noi per ringiovanire un po' e soffrire meno di malinconia.
Per questo la mia risposta al signor Turrini è molto simile alla tua: vada a vedere e a leggere là dove i lettori "young adult" e gli autori si confrontano. Vada a cercare di capire quegli adulti che sanno esprimersi in modo che gli adolescenti possano capire e identificarsi. E non perchè si sono "abbassati" al loro livello, ma perchè hanno questa sensibilità, questa empatia che permette loro di farsi ricevere da un mondo diverso da quello a cui appartengono. E se ci sono adolescenti che scrivono per adolescenti adottando il linguaggio specifico, cosa c'è di male? Impoveriscono lo stile? Uffff, ci sono alcuni libri che sono talmente stilosi da risultare noiosi da morire..

Cara Sarah, mi permetto di aggiungere che dalla tua risposta si nota che sei molto matura e intelligente. La mia speranza è che le persone giovani siano sempre più come tu dimostri di essere.
Io frequento - perchè ho la fortuna di essere nata lì e quindi ci torno volentieri - il Festivaletteratura di Mantova. Lì incontro ogni anno tanti ragazzi che come te sono appassionati, curiosi e intelligenti. Che non hanno paura di fare domande anche agli autori più importanti ma che allo stesso tempo aprono la porta ai poco più che coetanei che magari sono alla prima esperienza.
Evidentemente il signor Turrini questa esperienza non l'ha mai vissuta.
E allora invitiamolo: mettiamolo di fronte una sera per un'ora ai ragazzi di Blurandevù e vediamo se dopo avrà la stessa opinione di oggi.

E mi rimane un dubbio su cui però non spenderò più di un minuto: cosa pensa il signor Turrini della letteratura "chick-lit"? Di quello che viene scritto per le donne e per rappresentare in modo semplice le loro esperienze? E degli uomini che scrivono per le donne o viceversa (ma in quest'ultimo caso per la maggior parte sotto pseudonimo)? Tutto da bruciare o bollare?

Cara Sarah, sperimenterai che il mondo dell'incomprensione va oltre i tuoi 16 anni. Grazie per aver dato voce alla tua età in questo contesto, ti auguro di esprimerti anche per altre battaglie nel futuro.
Ma non vergognarti se in spiaggia un giorno ti verrà voglia di leggere un libro leggero e non giudicare - ti prego - chi vedrai farlo. Il rischio di essere "un signor Turrini al contrario" è sempre dietro l'angolo.

Con tanto affetto,
Emanuela, sedicenne del 1988.