Dato che siamo una famiglia che ascolta (selettivamente) la
radio e guarda (selettivamente) i telegiornali, è praticamente impossibile per
noi ignorare Greta Thunberg.
Quando sono iniziati i #Fridaysforfuture, l’allora dodicenne
di casa mi fece una scenata perché voleva scendere in piazza, perché i suoi
amici (alcuni) sarebbero andati, perché la mia generazione aveva rovinato il
loro mondo.
L’ho lasciato parlare con la sua foga da 12enne, pensando
con amore “ci siamo, è arrivato il suo momento”.
Si perché ognuno di noi, chi più e chi meno, ha vissuto il momento “cambio
il mio mondo”, quel periodo in cui gli ideali sono grandi e importanti, i sogni
hanno sempre la meglio sulle reali opportunità e si rifiuta la vita tranquilla
che i nostri genitori hanno sempre voluto offrirci, facendo spesso tanti
sacrifici per farlo.
Ben conscia di tutto questo, ho tenuto però il mio ruolo di
madre e ho rilanciato.
“Benissimo, però se ci credi così tanto allora si cambia
vita: no ai vestiti firmati ma nemmeno a quelli low cost, pochissima carne rossa,
si mangia quello che c’è, a morte i fast food…” E man mano che andavo avanti e
facevo esempi concreti oltre al momento della manifestazione lo vedevo fare
passi indietro e prendere coscienza che, va bene urlare slogan ma, non basta
quello. Abbiamo letto insieme le notizie sullo stile di vita di Greta, chi è, cosa
fa, perché lo fa. E abbiamo cominciato a farci domande e darci risposte. Del tipo
“lei non va a scuola, ma questo per noi non va bene”, “lei non prende l’aereo,
noi lo prendiamo poco ma siamo disposti a rinunciarvi completamente?”. Poi
abbiamo anche preso coscienza di quello che già facciamo: la raccolta
differenziata (si, anche l’olio esausto e le gite all’isola ecologica quando
serve), muoverci spessissimo con i mezzi pubblici anche quando la macchina sarebbe più
comoda e veloce, diminuire la quantità di plastica che acquistiamo preferendo
cibi sfusi e freschi e altre piccole cose, insieme a tutte quelle che possiamo
fare ma non facciamo.
E alla fine il mio lapidario “Comunque a 12 anni in
manifestazione da solo non ci vai, ti accompagnerei volentieri ma non posso
assentarmi dal lavoro”.
Fine.
Fino alla scorsa settimana.
Quando torno a casa una sera e mi sento chiedere “Potresti
informarti a che età posso iniziare a fare i campi estivi di volontariato?”. Lascio
perdere i dettagli su quanto detto dopo questa domanda, un bel confronto di
buon senso ma poco rilevante in questo momento.
E di nuovo questa settimana “Venerdì voglio andare in
manifestazione” e di nuovo il mio no per gli stessi motivi dello scorso anno.
Tutto questo succede in casa mia, mentre sui social questa
ragazzina viene massacrata da mille commenti inappropriati. Perché è brutta, perché
è disturbata, perché è manipolata. Io leggo e poi penso al “Gretino” che ho in
casa, che ha paura che il suo mondo sparisca nel 2050, che ripudia la guerra anche quando è lontana, che vorrebbe fare ma si sente frenato da me
(quando in realtà è frenato da sé stesso e dalle sue contraddizioni, come è normale
alla sua età). Lo lascio sognare, lo lascio proclamare ma non perché so che si
spegnerà da solo ma perché è giusto che alla sua età inizi a reclamare il suo
futuro ideale. Poi le sue scelte le farà e io spero che abbia la forza per mantenere
alcuni dei suoi grandi ideali. Ma perché lo devo attaccare, denigrare, mortificare
adesso che ha ragione. Adesso che l’artefice del suo destino sono io, che chi
plasma il suo mondo futuro -sbagliando tutto- sono gli adulti. E io prendo di
nuovo energia da questa sua voglia di essere diverso, discuto e rimetto in
discussione le mie scelte e i miei comportamenti e cerco di accompagnarlo verso
un mondo che spero sia migliore di oggi.
Ecco perché io guardo Greta con ammirazione, con l’ammirazione
di una madre. Perché sinceramente la dietrologia non mi interessa, perché anche
se fosse solo un simbolo, Greta rappresenta i nostri figli e in alcuni di loro
induce anche pensieri e riflessioni più nobili di quanto noi genitori, con i sogni
sgretolati dalla vita reale, siamo in grado di ispirare.
Ben venga quindi Greta e anche le sue contraddizioni.
Come mi disse una volta un prete particolarmente ispirato “nessuno
di noi è santo e sarebbe strano volerlo essere, ma le vite dei santi sono qui
per ispirarci ad essere migliori”.
Un’ultima cosa: la mia Greta Thundberg si chiamava Cat
Stevens.
“How can I try to explain ‘cause when I do it turns away
again
it's always been the same, same old story
from the moment I could talk I was ordered to listen
now there's a way and I know that I have to go away
I know I have to go”
it's always been the same, same old story
from the moment I could talk I was ordered to listen
now there's a way and I know that I have to go away
I know I have to go”
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