giovedì 6 novembre 2014

STUDIARE (?!?!?) SCIENZE (O STORIA O GEOGRAFIA)

Classe terza, nuove sfide.
Ci sono i compiti tutti i giorni (ma su quelli c'è molta autonomia e le maestre non sono poi così cattive) e poi c'è da studiare.
E non è per niente facile studiare.
Per il Topolo però è facile leggere e questo - sembrerà assurdo - è quasi un problema.
Si, perchè lui legge (pure velocemente) poi arriva e dice "ho studiato".
Alla terza arrabbiatura con la voce che toccava gli ultrasuoni, e quindi lui non mi sentiva più ma il cane della vicina abbaiava a più non posso, ho realizzato che ancora una volta si trattava di fargli capire in un modo che potesse capire.
Dopo il successo del "metodo tabelline", mi ritrovo a pensare ancora una volta fuori dagli schemi.
Analizziamo la questione: lui legge e capisce e questo è già mezzo lavoro fatto. Però ci sono da imparare delle parole nuove e soprattutto la gestione dell'interrogazione con ansia e imbarazzo relativo.
Per la questione parole nuove, Santa Lucia un paio di anni fa aveva gentilmente portato un vocabolario per i bambini ("E' lo stesso che ha la maestra" mi cinguetta il Topolo, ottimo così possiamo fidarci di quello che dice il vocabolario...) e adesso che l'ordine alfabetico non è più un dramma, il ragazzo ci si affida volentieri, perdendosi ogni tanto nelle pagine a leggere di parole nuove, così come faceva tanto volentieri la sua mamma alla stessa età. Che bella questa sensazione!
Poi affrontiamo il discorso "parole chiave", che devi proprio usare quelle lì e non le puoi cambiare.
Individuate, si sottolineano e si memorizzano pedissequamente (foglia, margine, nervatura, picciolo...).
A questo punto viene il bello.
"Mamma ho studiato, me lo provi?"
"No, ne riparliamo tra un paio d'ore"
"Ma poi me lo dimentico"
E bravo... è proprio lì la questione. "Se pensi di potertelo dimenticare, studia ancora"
Il ragazzo si rifugia nella cameretta dove lo confino a studiare, dopo aver messo un muso che lascia la scia, tipo bava di lumaca, dalla sala. Rifuggo il senso di colpa di lasciarlo solo di fronte ad uno scoglio che gli sembra insormontabile. Abbiamo tempo.
Dopo una ventina di minuti, colpita dal silenzio che regna in cameretta, mi appropinquo alla porta senza palesarmi.
Lo sento che sta sommessamente ripetendo le due paginette di scienze.
Dentro di me sono orgogliosa: il messaggio è passato. Ma sono anche incuriosita... è stato quasi troppo facile.
Butto dentro la testa facendo meno rumore possibile perchè non voglio interromperlo.
La scena è questa: è seduto sul letto, guarda verso la testiera, il libro è aperto dietro di lui, ma la cosa più bella è davanti a lui.
Ha tirato fuori tutti i peluche (non li conto!) e sta insegnando loro la lezione come se fosse il maestro. Li guarda con intenzione, bello convinto. Ogni tanto si gira verso il quaderno e controlla di aver detto tutto per bene. E poi ricomincia.
E proprio durante uno di quei "giramenti di testa", mi intravede sulla porta. Io resto in silenzio, lui mi fa un sorriso complice.
Ho capito che hai capito.
Mi muovo dalla porta e lo lascio solo con i tuoi peluches. Torno in sala con la sensazione che pur non avendo fatto niente, ho fatto la cosa giusta. Questa volta ha trovato da solo il modo di fare quello che deve fare in una dimensione di gioco.
Me lo conferma dopo 10 minuti: "mamma ho giocato a fare il maestro"
E' tutto qui.
Per premio, prendo tutti i peluche e li butto in lavatrice. Se devono proprio andare a scuola anche loro, è giusto che siano puliti e profumati.
"Mamma, me la provi?"
"No, te la provo dopo pranzo"
"Va bene"
Quando si dice sentirsi sicuri...

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